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Scritti

ALLE RADICI DEL SENTIMENTO

Nel contraddittorio panorama dell’arte contemporanea, è raro imbattersi in una figura come quella di Memè Olivi: le radici, saldamente ancorate alla scuola urbinate, affondano nel ricco humus del Magistero di Bartolini e Castellani, il tronco robusto si innerva in uno stupefacente virtuosismo tecnico, le fronde si protendono verso il mondo e ci parlano sommessamente delle frequentazioni con la cultura nord-europea e americana. 

Sentire l’autrice parlare del proprio lavoro ci disvela una curiositas che è alla base di ogni espressione creativa : le audaci sperimentazioni tecniche, l’uso dell’acquaforte combinata con xilografia e dell’acquatinta, sono condotte con il rigore e la fantasia di un alchimista di altri tempi. Assecondano senza sforzi i desideri espressivi di un animo riflessivo e silente, capace di cogliere, tanto nelle serene distesendel paesaggio marchigiano, quanto nel parossistico contercersi di un olivo, il senso del tempo che scorre, uno « spleen » che è proprio degli anni più sensibili, inclini alla malinconia.

Come accade per gli incisori più celebrati del passato, il confronto con la lastra metallica consente all’autrice di esprimere la propria personalità e le morsure serbano ricordo di esperienze lontane, di sentimenti gentili e rarefattiche si materializzano sulla carta. La forza del segno, la vigoria fisica necessaria all’uso del torchio sono messe al servizio di un universo di sensazioni evanescenti, altrimenti destinate a svanire nel nulla restando inespresse. 

La voglia di condividere con gli altri questo mondo interiore alimenterà ancora a lungo la creatività di una artista che sa imporsi con il garbo di una signora di altri tempi, senza per questo rinunciare al confronto, la contemporainetà : uscita dal salotto di nonna Speranza, Memè Olivi ha percorso il mondoguardando tutto con la curiosità di chi non si lascia travolgere dalle novità , cercando sempre l’essenza di una realtà altrimenti sfuggente.

Stefano Papetti, Firenze 1997


RADICI

La multiforme e complessa attività artistica di Memè Olivi è emblematicamente espressa da una sua piccola opera, un groviglio di radici che creano un labirinto in cui si condensano e si fondono litografoe, xilografoe e calcografie. Perché la sua arte si esprime attraverso queste tre tecniche con una immaginazione ed un’incisività che ci riconducono a memorie quattriocentesche e non a caso la sua formazione di artista nasce alla Scuola Superiore di Urbino.

Il filo del disegno non sembra interrompersi mai e ci ridà paesaggi, fiumi, vaste campagne ondulate, campanili, facendoli apparire in una realtà onirica.

Ritornano in certe opere di Memè Olivi stati d’animo complessi, come avviene ad esempio nelle tre immagini della chiesa di San Nicolo’ realizzate ciascuna con una tecnica calcografica diversa rivive un mondo lontano, sfumato, siggestivo che alimenta antichi ricordi e malinconie. 

Certe ondulate distese campestri simili a dune, ci portano nel mondo lontano della fantasia come in una navigazione verso le Isole Fortunate dove il navigatore avrebbe ritrovato le voci materne dell’infanzia perduta.

Gli strumenti usati da Memè Olivi par calcografia, litogragia, pietre, legni , spatole, pennellini, bulini, magicamente ricostruiscono quelle piccole celle dove monaci pazienti « alluminavano » l’ibri d’Ore con la tecnica minuta e paziente usata dalla nostra pittrice.
La sua pittura reca messaggi da tutto il mondo perché il suo istinto l’ha poratata in paesi lontani da cui ha tratto quell’ispirazione che annulla le distanze e ci permette di sentirci, attraverso l’arte, cittadini del mondo.

Cino Boccazzi Treviso 1994


IL SOLCO

Le incisioni della Olivi ci sorprendono in primo luogo per la loro perizia tecnica. In loro tutto è minuziosità, attenzione al particolare minimo, rispetto di ogni segno grafico, di ogni traccia. E’ il mondo accurato e paziente dei miniaturisti cio’ che appare da queste immagini, con questi paesaggi nei quali ogni frammento della natura è presente, non sparisce nè si cancella per facilitarne l’eimpressione di profonfdità. Ogni foglia sembra vibrare in un‘aria autunnale; dietro la superfice apparentemente calmadell’acqua si agita un universo di segni neri, come se in essi gravitasse il vero senso del colore. Dopo questa prima sorpresa della tecnica, ci coglie la sensazione, unaime e panteista, di queste rappresentazioni: l’amore della terra, la collaborazione con tutto cio’ che la abita e la modella, con tutto cio ‘ che si fonde in essa o, al contrario, ascende e prolifera come se volesse fuggire.

Olivi racconta la terra, mai vergine nè anonima nè selvatica, ma arata, lavorata, e, se cosi’ si puo’ dire, firmata dall’uomo. Il solco incide la terra come l’acido o la punta secca la lastra di metallo.

Appaiono anche alberi, cattedrali gotiche in lontananza, calli sconosciute di Venezia, ma in essi è vivo lo stesso lavoro dell’uomo e del tempo come in quello della terra; gli alberi sono spogli, senza uccelli, che rallegrino i loro persistenti silenzi; le cattedrali lontane e sicuramente in rovina, le piccole calli di Venezia vuote.

Olivi ci presenta, con estremo rispetto dei materiali e con la pazienza che confina con la devozione per il lavoro ben fatto, un mondo del solco, autunnale ed effimero.

Severo Sarduy Parigi 1992


I CAMPI ARATI

L’aratura delle Marche, con i lunghi solchi incisi sulla terra, somiglia alla tavola striata dal bulino o tormentata dall’acido, dalla mano perfettamente sicura dell’artista. I paesaggi delle Marche, sua regione natale, sono il tema che si è offerto nel modo più naturale a Memè Olivi.

Ben presto parte alla scoperta del mondo e ce ne offre la sua personale visione.

 Alcune città : Treviso e la chiesa di S.Nicolo’,  

Buenos Aires e Montevideo, l’inizio di rue Jacob a Parigi la dove si getta nella rue de Seine, la via Margutta a Roma, 

Bruxelles, il Potomac a Washington, 

un palazzo barocco a Venezia, ma anche la laguna nell’indeciso muoversi dell’acqua e della terra. Poiché lei non è soltanto la pittrice di geometrie urbane. La natura con i suoi arabeschi la seduce. Si a che si tratti di grovigli della foresta equatoriale o di leggeri cespugli, delle spettacolari cascate di ignazù ai confini fra il Paraguay , l’Argentina ed il Brasile o del sole di mezzanotte in Lapponia, che le ispira una curiosa acquatinta.

E’ noto che Memè Olivi utilizza tutte leddl’arte dell’incisore, tutti e metodi e le tecniche che sucitano stupore e meraviglia nel profano ; bisogna ascoltarla quando parla della « maniera a zucchero ». Ma attraverso le diversità delle tecniche, la si riconosce sempre. Quando utilizza la tecnica della punta secca, dimostra che puo’anche creare fanciulle, uccelli, fiori, ma è nei paesaggi che si impone. E’ come se catturassero tutta la sua attenzione, sono vuoti di uomini e di animali. E tuttavia poche opere sono cosi’ abitate.

Roger Grenier Parigi 1996


PAESAGGI

Memè è stata spesso definita come una paesaggista. Credo che accetti questo come un complimento, poiché il paesaggio è realmente il suo soggetto preferito attraverso il quale esprime I suoi più profondi pensieri e la sua concezione del mondo, della terra e delle sue origini. Ma quasi come « rappresaglia » contro queste critiche ha inciso anche molti ritratti. Uno dei ritratti della figlia è stato eseguito con un segno grafico purissimo. In esso la linea quasi astratta evoca la semplicità e l’innocenza della fanciullezza.
Un’altro genere che ha tentato con successo è la natura morta. La loro immediatezza e singolare qualità ricordano il maestro della natura morta del 19° secolo, Odilon Redon.
E’ il paesaggio che esprime meglio l’essenza della poetica di Memè Olivi. I paesaggio della sua terra natale, le Marche, Senigallia dove è nata e cresciuta, Urbino dove ha studiato. Memè raffigura nei suoi paesaggi marchigiani l’aridità della terra , il lavoro secolare degli uomini per coltivarla, la multitudine dei campi che coprono le colline e le montagne, i colori che sfumano dall’arancio al marrone, dall’ocra al giallo. Questi dettagli sono stati colti da Memè con un’acuta precisione nella trama. Il cesello stesso diventa l’aratro che scava il solco sulla carta. Non vi sono mai figure nei paesaggi di Memè, eccetto gli alberi. Sono questi a dare movimento, rappresentano il cambiamento quando la terra non è stata rimossa da secoli. 

Confinare il lavoro di Memè Olivi alle Marche sarebbe pero’ ingiusto poiché è un’inesauribile viaggiatrice : ha esplorato non solo Treviso e il Veneto, terra d’origine di suo marito, ma anche paesi sparsi nei cinque cintinenti. E da questi paesi ha riportato centinaia di disegni che ha usato per le sue incisioni. Sebbene sia ora all’ultimo stadio della sua carriera, Memè ha l’entusiasmo e l’energia di una giovane artista ed al tempo stesso l’esperienza di chi ha lavorato per più di cinquant’anni

Nicolas Schwed Londra 1997


ARTIGIANA

A Memè Olivi piace presentarsi come « artigiana » ed insistere sul mestiere. Domina in effetti tutte le tecniche dell’incisione – litografia, xilografia, calcografia (acquaforte, puntasecca, acquatina) e non esita a modificarle o combinarle a seconda del bisogno o della necessità di espressione o del piacere di sperimentare. Per l’amatore o l’artista è un piacere scoprire il suo atelier ed ascoltarla parlare del suo lavoro, senza boria con una semplicità lucida e calorosa. Come un buon artigiano. Alla varietà delle tecniche corrisponde naturalmente una varietà di stili ; anche le incisioni realizzate con la stessa tecnica mostrano una notevole diversità : tratto limpiso o reticolo denso, monocromia (più o meno sfumata)o policromia (sempre sobria), uniformità o effetti di sovrapposizione (bella virtù della matita litografica), leggerezza aerea o gravità terrestre.
La diversità tecnica o stilistica è sempre segno di talento ; alimentata dall’immaginazione e dalla fantasia, rappresenta senza dubbio il grado più alto dell’artigianato. L’opera di Memè Olivi possiede tutte queste qualità e mi piacerebbe mostrare quanto lei sia strutturata e tesa da una propria sensibilità d’artista che le fornisce una profonda unità e, a moi parere, tutto il suo valore.

Oscar C. Pecora, Buenos Aires 1994


Costruire l’inventario di un vocabolario partendo dalla tecnica sembra essere una condizione piena di ostacoli . Ma intravvedere in questa trama infinita con la delicatezza e lo sguardo attento di Memè Olivi, la sottigliezza delle diverse impressioni della sua opera è già un momento portentoso. Gli strani movimenti, gli effetti dell’acido, l’acqua, il foglio, il gesto che ritraccia la linea di un paesaggioche si diffonde all’interno di sè stessi, tutto ci riporta in un mondo immaginato attraverso i sogni

Carlos Colombino, Asuncion 1992


L’acquatinta »Sole di mezzanotte – Lapponia », plasticamente molto bella, nasce da un’impressione che l’artista tenta di restituire e di decantare : il ghiaccio, il freddo, questa palla di fuoco rosso e arancio, lo spazio. Fa pensare al verso di Baudelaire « …Et comme le soleil dans son enfer polaire » («… E come il sole nel suo inferno polare »), salvo che in questo caso la concezione è di una serenità del tutto orientale.

Ed è davvero sorprendente l’affinità che esiste tra questa incisione (prendete anche in « Laguna » con il delicato affollamento dei tratti) e l’estetica giapponeses, sebbene sia difficile da analizzare : semplicità, purezza dei tratti, spazi bianchi, stilizzazione…Risultato di una contemplazione amorosa, che vuole raggiungere l’essenziale, la poesia. E’ chiaro che l’occhio di Memè Olivi è molt sensibile all’architettura delle apparenze e percepisce fortemente le linee ; anzi di più, il suo sguardo ricerca la struttura interna delle cose. E cosi’ ; i suoi ghiacciai vanno aldilà di semplici immagini, seppure sgfumate, di ghiacciai : hanno un peso e una presenza. Questa visione si puo’ esprimere soltanto grazie ad un dominio totale della tecnica : le variazioni di colori che la traducono , corrispondono a tempi di esposizione all’acido più o meno lunghi. Nella litografia intitolata « Solitudine »(raro caso in cui un artista si permette l’uso di un titolo cosi’ espressivo), si ritrova lo Spazio –spoglio, splendidamente disumano. L’atmosfera è più grave, un po’ dolorosa : tratto sostenuto, colore denso, architettura costruita e, nel centro, l’interpretazione potente di due masse geologiche, luogo di un’oscura gestazione. L’opera trova la sua forza in questo movimento centrale, al cui dinamismo sordo corrispondono l’energia e l’intensità azzurra della fascia orizzontale superiore.

Ben diversa invece l’ispirazione dell’ « Angolo Toscano » in cui trionfano la fantasia e il sogno : la geometria della casa (che peraltro poteva sedurre l’occhio), si trova qui negata, trasportata dall’esuberanza degli alberi dalle forme ardenti, fantastiche…

Nell’opera « View of Washington » non si ritrova più quell’atmosfera simbolista, tinta di mistero, tuttavia il lato fantastico non è scomparso : l’immaginazione approfitta di un incrocio seducente per aprire due varchi – prospettive nella geometria depurata e oppressiva della Città che l’artista restituisce allo Spazio ; lo sguardo è dominante e in primo piano, come pure nello sfondo, alberi scheletrici ma vigorosi, come furiosi, vendicativi si impadroniscono dello spazio urbano. Vi è movimento in tutti i sensi (vengono integrati anche segni imprevisti, provocati da graffi nella lastra di rame), cosmico e liberatore.

Tra tutte le tecniche utilizzate (e valorizzate), la xilografia è quella che personalmente preferisco. Le incisioni realizzate con questa tecnica sono materialmente cosi’ ricche che si vorrebbe accarezzarle con le dita. Sento che anche per Memè Olivi questa è una tecnica di grande intima soddisfazione :     

l’immaginazione dell’artigiano gioisce per la lotta -manuale, carnale- con la materia viva, mentre l’occhio dell’artista scruta con passione la struttura apparente del legno. « Tempo di aratura » potrebbe concentrare l’essenza della visione artistica di Amelia Olivi. Innanzitutto l’amore e la rivelazione dello Spazio, inseparabile dall’amore per la Natura : in questo caso distese sfumate di Terra danno energia a tratti trasversali (come linee di fuga). In generale, la « dinamizzazione » (messa in movimento o « energetizzazione) di cio’ che è stato visto, è una tendenza costante in concorrenza con la contemplazione serena (la linea si distende, si stira tranquillamente, sognante) 

In « Pomeriggio d’estate » sono le masse d’aria in movimento nel cielo, la respirazione vegetale, la terra gonfia e plpitante come un respiro.. Poi « Tempo di aratura » ci dice, meravigliosamente, la passione per la struttura dell’essere e il desiderio di rivelarla : osservare in ricca tensionecon il dinamismo generale, la fermezza architettonica dei contorni, e interna –immediatamente percepibile- del legno, quella del paesaggio: le linee del suolo, la terra sottosopra, che mostra le viscere..

Robin Lefere Bruxellles 1992


I LUOGHI DELLA MEMORIA

Nell’opera sapiente di Memè Olivi c’è un sentimento leopardiano della natura, da cui nasce una memoria di secoli antichi e la nostalgia struggente di luoghi noti e di terre sognate. Chi nasce nelle Marche porta dentro di sè l’immagine di un paesaggio dolce che si apre verso spazi indefiniti, ma solo un’artista vera, che conosce la pazienza delle tecniche antiche, puo’ esprimere in una grafia che parla anche a chi non conosce il linguaggio dell’arte, cio’ che si vede solo con gli occhi dell’anima. E’ quello che Giacomo Leopardi esprimeva in una sua celebreriflessione sulla « doppia visione ». Su questa capacità di vedere dentro le cose, il Poeta costruiva I suoi Canti. L’artista sensibile che ha appreso la mezione leopardiana, piega le immagini e le tecniche alla ricerca di un modo per fissare u*in un apesaggio il momento magico del realee dell’irreale, del tempo e di cio ‘ che è fuori dal tempo., del quotidiano e dell’eterno.

Nella perfezione delle tecnicha, frutto di una paziente ricerca e di una capacità di creazione di effetti mai prima sperimentati, c’è riassunto il sapere dei secoli, che rischia di perdersi in uno senza memoria. Memè Olivi, come pochi altri, trae dzll’acquaforte,dalla puntasecca, dall’acquatinta, dalla litiografia, dalla xiligrafia e dai materiali più varii, legno, pietra, metalli, la capacità di ottenere delicate trasparenze, colori irreali, senza l’uso dei colori tradizionale, effetti che suggersiscono il non detto, al di là del paesaggio reale. Non si puo evitare di pensare a quella riflessione di Giacomo Leopardi, che pensava alla pittura molto più di quanto si sia detto dai critici e vedeva molto di più di quanto non sembrasse : « i piace e par bella una pittura di paese, perché ci richiama una veduta reale, un paese reale, perché ci par da dipingerci, perché ci richiama le pitture. Il simile di tutte le imitazioni (pensiero notabile). Cosi’ sempre nel presente ci piace e par bello solamente il lontano, e tutti i piaceri che cghiamero’ poetici, consitono in percezion di somiglianze e di rapporti, e in rimembranze. »

I piaceri poetici e le somiglianze e rimembranze sono tutte presenti nelle incisioni di Memè Olivi, in cui sembra cristallizzato il senso poetico dei luoghi leopardiani, che non sono solo aiellio di Recanati o delle Marche, ma quellidi tanta parte del mondopiù grande in cui l’artista vive. Allora il ricordo filtra e trasfigura la realtà, fissandola in una sorta di spazio silenzioso e di tempo senza tempo, aperto all’immagianazione.

Franco Foschi, Recanati 1998


LA POETICA DELL’INCISIONE 

Regione di magici incanti e di spiriti inquieti, la Marche hanno generato molti maestri nel campo dell’incisione. Da Federico Baroccci e Simone Cantarini per giungere a due egregi xilografi del valore di Adolfo De Carolis e Bruno da Osimo si dipana un sottile fil rouge che tutti unisce nel nome dell’acquaforte. Questo ricco humus fa parte del bagaglio culturale di Memè Olivi, formatasi a Urbino presso la scuola di Bartolini e Castellani, che ha saputo distillare con sensibilità quanto appreso dai propri maestri, approdando ad una competenza tecnica compiaciuta nell’esibire la padronanza con cui governa la xilografia, la litografia, e l’incisione su metallo. 

Senza svilire le proprie creazioni realizzando decine di tirature, la Olivi sembra agognare all’esemplare unico, vagheggiato da Andrea Sperelli, calcografo dilettante protagonista del Piacere di d’Annunzio. Ma la perizia tecnica da sola non basta a fare grande un artista che, per essere tale deve anche possedere una straordinaria sensibilità in grado di cogliere gli aspetti lirici della realtà, interpretandoli alla luce del proprio sentimento: è questo aspetto che traspare dalla nuova serie di incisioni leopardiane realizzate dalla Olivi. Talvolta il nome del grande poeta è stato sfruttato come viatico per produzioni artistiche di mediocre livello; come accadde talvoltanel Seicendo quando, sulla base del concetto oraziano del ut picture poesis, i poemi del Tasso e dell’Ariosto vennero saccheggiati da tanti petits maîtres in cerca di ispirazione.

In questo panorama di rielaborazione figurativa del mondo leopardiano, le incisioni della Olivi nascono da una consapevole rivisitazione lirica dei luoghi cari al poeta, rifuggendo tentazioni veramente illustrative : lo dimostranoi fogli dedicati al « paterno ostello » e soprattutto alla biblioteca dove sembra aleggiare il fantasma del fanciullo Leopardi, ancora impegnato negli ‘studi leggiadri » condotti nelle stanze ombrose e solitarie, circondato dagli amati volumi paterni.

Ripercorrendo la genesi di ogni incisione attraverso il confronto fra i vari « stati », riconstruendo il raffinato fondersi della xilografia con l’incisione su metallo, immaginando la trepidazione con cui l’artista attende alle morsure si evince il lungo lavoro che si nasconde dietro ognuno di questi fogli, leggeri come la carta, ma incisivi come possono esserlo le intuizioni poetiche partorite da un’immaginazione forte : quella che per il Leopardi genera il «… carattere grave, passionato, ordinariamente malinconico, profondo nel sentimento e nelle passioni, e tutto proprio a soffrire grandemente della vita » (Zibaldone, 5 luglio 1820), che crediamo di ravvisare nell’opera della Olivi.

Stefano Papetti , Firenze 1998


L’ARTE DELLA FILIAZIONE 

Cosa succede, cosa trascorre tra Memè Olivi e la nipote – tra i paesaggi di grave dolcezza spopolati di uomini e di animali della nonna, la grande artista dell’incisione, e le serigrafie coloratissime della geniale nipote Amélie, in cui dominano esseri umani affetti da forti inquietudini psichiche – une testa rinascimentale di scuoiato, in cui si arrotolano convolvoli di tubi surrealisti, o deliziose preadolescenti che precipitano a pioggia nell’instabilità dell’incerta giovinezza in agguato? 

Naturalmente il legame c’è; a cominciare dal nome augurale che viene attribuito alla nipote, quasi già un destino. E il legame misterioso, che concede a Amélie di disegnare in angolo dello studio della nonna – da cui un po’ tutti erano cacciati via con decisione (“Stop!”, li fermava Memè, come evoca la figlia Olivia, e per tutti Lilli: che naturalmente ricorda la dedizione di Memè agli affetti familiari, sapendo bene che danneggiavano il suo lavoro d’artista). Naturalmente, c’è la straordinaria sapienza tecnica di Memé Olivi, che usava i suoi bulini come fossero bisturi, precisi, razionali, e come quelli benefici e provvidenziali, resi poi soffusi con le puntinature dell’acquatinta, i colori miti, il bruno, il verde tenue, e grazie all’andamento delle colline a onde distese: e soprattutto sempre da una visione morale e affettiva delle sue Marche industriose, riservate e silenti anche in piena laboriosità ( e giustamente Roger Grenier dice, dei suoi paesaggi senza umani, che sono poche le opere così abitate). Amélie da 5 anni in poi ha potuto contare sull’ammaestramento tecnico della nonna, che l’aveva a sua volta maturato in una vita intera di “studio” (così dice Memè continuamente nelle interviste). Ma c’è un legame più profondo, per cui mi è impossibile non pensare a Proust.

Proust a queste trasmigrazioni dei tratti fisici e morali dalla madre ai figli ha dedicato molte struggenti riflessioni, e alcune tra le sue più belle pagine. Nella lunga scena mondana di Sodome, compaiono i due figli di una dama, madame de Surgis: “Incrociammo due giovanotti la cui notevole e dissimile bellezza traeva origine da un’unica donna…Risplendevano delle perfezioni della madre, ma ciascuno d’una diversa. In uno s’era trasfusa la regale prestanza e lo stesso pallore ardente, rossastro e madreperlaceo…suo fratello aveva ereditato la fronte greca, il naso perfetto, il collo da statua, gli occhi immensi”. Ogni figlio traduce, illustra e rivela una madre diversa. Tra lettere e richieste di conferma, Proust si interroga su questo singolare tema, uno straordinario rovesciamento del tempo, dove i figli sviluppano una madre differente. Le lettere di Proust agli amici, testimoni della sua riflessione, risalgono alla sua fine, il 1921; ma il tema compare già in in uno dei primissimi passaggi della Recherche, recentemente scoperto nei 75 fogli (1908). Lì Proust rovescia il movimento regolare del tempo biologico, e non interroga il volto del figlio per trovarvi, come in un ostensorio, le tracce di quello materno, ma inversamente legge nella madre (nel suo viso “profanato”) i tratti del figlio degenere (de-genere: che presenta un’alterazione della stirpe). Forse è una forzatura impropria, ma negli ultimi lavori di Memé Olivi, quando da un’unica matrice crea diverse opere cambiando il colore, e operando quasi come un pittore a olio, o quando sospende un sole, cerchio di netta e vivace tinta, in un paesaggio nordico, come potrebbe concepirlo, tutto in astrazione formale, uno xilografo giapponese, ho pur pensato che si riflettesse à rebours la produzione a intense coloriture della nipote Amélie, come per un’influenza rovesciata – ma forse è l’opera del tempo che, per entrambe le Amélie, avviava il moderno verso più vistose esperienze e inedite colorazioni. 

Daria Galateria, Roma Marzo 2024


Memè. Ci sei stata e sei ancora carissima. Lieve, gentile, affettuosa : una presenza importante nella nostra vita. Un’artista vera. Una donna intelligente, spiritosa sensibile, che ha vissuto il suo mondo e graversato il suo tempo restando fedele a se stessa nel successo e nelle avversità.

Ti abbiamo sempre sentita molto vicina, vicinissima, anche se adesso non ci sei più. Qualcosa di te, del tuo sorriso, del tuo affetto e della tua ironia, lo porteremo sempre con noi. Con amore e con tanta nostalgia di te, degli anni della giovinezza in cui ti abbaimo conosciuta e di rue Jacob. 

Paolo e Gabriella Franchi, Roma 30 settembre 2019


La creazione vive come genesi sotto la superficie visibile dell’opera.
A ritroso la vedono solo gli intellettuali, avanti –nel futuro-solamente gli artisti.

Paul Klee


La storia di Memè Olivi è davvero una straordinaria avventura in cui si intrecciano le più diverse sperimentazioni espressive e dialogano mondi  artistici apparentemente lontani. Memè è  anticipatrice della figura dell’artista poliedrico instancabile che attraversa il tempo  luoghi e territori con una felice determinazione .Sempre alla scoperta di suggestioni e stimoli ,sempre dentro l’arte come  alveo  vitale.
Non ho conosciuto personalmente Memè ma visionando la sua produzione, dalle prime incisioni alle illustrazioni fino ai suoi progetti di moda, la incontro e ne scopro la lucidità di visione,la sua capacità di espandersi seguendo una linea di rigoroso lavoro ,seguendo nel contempo un preciso  percorso  poetico. Tutta la sua opera coinvolge proprio per questa sua forza ,per la sua costante ma non ansiosa voglia di andare a fondo nella cose della realtà, oltre la superficie, oltre le apparenze e  il visibile scavando dentro ogni singolo soggetto alla ricerca di   spazi  e tracce per una vita  da vivere pienamente libera.
Una donna anticipatrice, coraggiosa  che nell’arte ha manifestato appieno  la gioia dell’azione creativa. Ciò che accomuna i veri artisti.

Silvio Cattani, Rovereto 2034


Quando sei nato in un posto che fa talmente, ti stringe nelle dolci spire di morbide colline fiorite e ti sospinge verso la linea lucida verde-azzurra del mare, queste maglie difficilmente si scioglieranno.

Poi la certezza (bambina) di essere cresciuti in un luogo speciale, con gente speciale, allora batti bandiera senigalliese tutta la vita !

Sono partita presto da Senigallia ma quel piccolo dolore-dolce come un neo, come una voglia, come un duro nocciolo di ciliegia , si è insediato sotto il cuore. È Per questa nostalgia che ho abbracciato ed ospitato nella nostra casa ogni senigalliese incontrato sulla via.

Così quando Paola Mancini, figlia di storici, carissimi amici ci ha parlato di Memè Olivi siamo io e Silvio trasecolati.

No non lo potevo conoscere, io ero via ed anche lei lontana, ma la forza del suo messaggio arrivava ora piena e potente come una folata di bora sugli scogli! 

Come fresca la sua visione delle nostre colline, ombrose e ridenti, solcate dall’aratro, faticate dagli uomini, accarezzate dagli sguardi!

Poi il messaggio innovativo nella ricerca di un’etica di libertà nella affermazione del suo essere Artista!

Anna Lorenzetti, Nogaredo Aprile 2024


Il MIO INCONTRO CON MEME’

Il mio incontro con Memé nasce grazie a coordinate geografiche e umane fortunate. Nel 2019, nel grande giardino di casa Gambini Rossano a Senigallia, ho conosciuto Olivia. Lei era indaffarata con i lavori di ristrutturazione della casa che aveva ospitato Memé nelle calde estati all’ombra dei grandi pini marittimi, e tra uno scatolone e l’altro, tra soffitte e cantine, mi ha mostrato alcune litografie della madre scomparsa da poco. Senigallia è  stato lo zenit di queste coordinate geografiche che si snodano e si dipanano in chi va e chi resta lasciando a tutti la possibilità di tornare in agosto e ritrovarsi all’ ombra dei pini o degli ombrelloni. Così come era successo a me negli anni precedenti che, partita per trovare il mio posto nel mondo, avevo lasciato la mia città per sbarcare in Trentino al liceo artistico Depero di Rovereto. Qui c’erano Anna e Silvio (soprattutto Anna) che in questa storia rappresentano il nodo di una rete che la fortuna ha fatto incontrare.
La storia era simile: delle donne, delle artiste, che avevano vinto i pregiudizi, le paure, le distanze e si erano messe in marcia per seguire i propri sogni. Quando ho parlato della vita di Memé ad Anna e Silvio non ci hanno messo molto a cogliere la poesia di questa storia. La storia di una donna che da sola negli anni ’20 si era imposta nel mondo dell’arte, sorretto già di per sé da fortissime tendenze patriarcali, nell’ambito della calcografia e della stampa d’arte, mimetizzandosi tra i maestri urbinati, tutti rigorosamente maschi. Quando Olivia mi ha mostrato la bozza del film che stavano girando ho subito empatizzato con le figure femminili che venivano raccontate.
Il racconto era tessuto sulle trame di tre storie personali: tre generazioni di donne, Memé, Olivia e Amélie, nonna madre e figlia, legate oltre che nella vita dalla comune passione per l’arte, testimoniava la difficoltà universale delle donne appartenenti a qualsiasi ceto sociale, ad affermarsi in un mondo sempre troppo dominato dal maschile. Qui, nei chiaroscuri di queste vicende, leggere e allo stesso tempo potenti, nello spirito di un innato sodalizio verso chi conduce la propria battaglia contro stereotipi e pregiudizi, ho intravisto la possibilità di sostenere e diffondere un racconto che a me aveva fatto bene ascoltare e  spero possa ottenere so stesso effetto anche su altre anime sensibili.

Paola Mancini, Senigallia Aprile 2024